Don Giò

Queste righe avrebbero dovuto essere la conseguenza di una semplice intervista: per capire l’identità, il personaggio, l’uomo, il sacerdote don Giovanni Giudici, ma anche per comprendere quale possa essere stata l’incidenza del suo ruolo in più di quarant’anni di presenza nella nostra comunità e di quali, piccole o più importanti, modificazioni si siano prodotte nella nostra cultura e nel nostro modo di essere grazie al suo vissuto quotidiano tra di noi.

Posso garantirvi che ci ho provato in più di una occasione, e l’obiettivo si è dimostrato non solo difficile: ma impossibile! Con parole e perifrasi diverse, la sua spontanea ritrosia nel parlare di se stesso e la sua nota, da tutti conosciuta, naturale modestia mi portavano ad un unico risultato: “Sono stato bene con voi e mi avete dato tanto”. Anche i mastini, davanti ad ossa dure, sono costretti ad arrendersi. Pertanto ciò che avrete la pazienza di leggere sarà invece il risultato di una testimonianza, non esclusivamente personale ma condivisa da giovani, di allora e di oggi, che per la valorizzazione del cosiddetto progresso tecnico-culturale rappresentano quattro generazioni. Senza presunzione … tenterò di essere il portavoce.

Quando lo vedemmo apparire era il 1967, in sella ad uno scoppiettante motociclo di marca Aermacchi (non poteva essere che così: la sua origine era Varesina). Avevo compiuto appena sette anni … e mi sembrò subito … un Drago.

Era chiaramente il portatore di una missione pastorale manifestata nella Chiesa di san Pancrazio nell’omonimo Oratorio ed in quella “Cripta” ove, tra i giovani accoliti, dimostrava una ferma intransigenza per il rispetto per il rispetto dei princìpi religiosi, etici e di comportamento morale allora condivisi da tanti. Ma spiccò presto un’altra essenziale caratteristica, della sua personalità, nella costruzione di attività … apparentemente laiche: l’organizzazione del tempo libero non “come fine, come tramite, come strumento” per contribuire ad una sana, fisica e mentale, crescita dei ragazzi che varcavano in cancello oratoriano. Sotto questo profilo è stato certamente un pioniere.

A Bovisio Masciago, a quei tempi, erano numericamente rare le opportunità di svago ed altrettanto rari gli organismi che si preoccupavano di proporlo. Non esisteva chiaramente quella “Fondazione per lo sport e tempo libero” oggi costituita da sedici associazioni in rete con l’Amministrazione comunale e non c’era neppure la stragrande maggioranza delle anzidette associazioni. Dopo la scuola si giocava praticamente solo a calcio nei prati, nei cortili e sulle strade e all’oratorio stesso.

“Don Giò” allestì allora un grande stadio olimpico, così almeno appariva ai nostri occhi. Calcio ovviamente, ma anche tornei di pallavolo, pallacanestro, gare di atletica leggera con la comparsa perfino degli ostacoli e della rete per il tennis. E in questo grande stadio non si chiedeva di conquistare medaglie o trofei, benvenuti se arrivano ma, non indispensabili. Ci ha sempre invece chiesto il conseguimento di precisi valori: la lealtà, il rispetto degli altri e l’impegno all’amicizia.

Anche l’organizzazione degli indimenticabili “Palii rionali”, tra il Borghetto, il Marconi, il Masciago e la Merona-Bonaparte, che si chiudevano con l’immancabile maratona per le vie del nostro paese, non aveva come scopo quello di confrontarsi ma soprattutto di incontrarsi. E’ grazie a questa impostazione culturale la nascita di grandi amicizie che hanno resistito all’usura del tempo.

E’ di oggi un progetto promosso dall’Assessorato alla Cultura, per la scuola e per i giovani: “Bovisio Masciago città dei bambini e delle bambine” teso a far emergere le esigenze prioritarie di chi sta affrontando il complesso percorso della crescita. Tra quelle raccolte ha una voce forte il “desiderio di uscire”: dalla barriera delle mura casalinghe, da quelle dei cortili, della scuola, delle palestre, insomma dagli spazi chiusi. Il desiderio di scoprire nuovi orizzonti, di vivere all’aperto, di vede cosa c’è … oltre la collina.

Anche in questo don Giò è stato un precursore. In un periodo storico durante il quale poche erano le famiglie con la possibilità di “andare in ferie” emerse la Sua tensione innovativa coraggiosa innovativa, coraggiosa e perseguita anche con il concorso di proprie risorse finanziarie (Si. Perché “lavorava” anche come insegnante nelle scuole statali) Dagli accantonamenti alla “Casa Alpina di Motta, ai Campeggi La Campanella e San Martino ha da sempre anticipato e cercato di soddisfare … l’odierno desiderio! Sono più di tenta i giovani accompagnati sulle terre alte, là oltre la soglia ove ha sede la casa dello stupore… quello per i grandi spazi…. per le immense cattedrali della terra… per la conquista di una cima … raffiche di vento … per una bufera di neve ferragostana … pe i canti sotto le stelle durante i bivacchi attorno a un fuoco che resteranno per sempre scolpiti nella nostra memoria ed identità. Quante emozioni, quanta attività e esperienza distillate da quella “scuola” ben mascherata sotto le sembianze di un campeggio. Una scuola dove, senza che nessuno salisse in cattedra, venivano impartiti insegnamenti degni di ben più famosi atenei.

Credevamo solo di giocare, di vivere un’avventura, di imitare i boy-scout e ci siamo trovati un po’ più svezzati dalla bambagia familiare ed in grado di accettare qualche privazione, la fatica, l’impegno di organizzare la spartana ed autonoma vita quotidiana di piccoli gruppi. Il valore ed il rumore del silenzio e della riflessione, quello dell’apprezzamento per le cose semplici e spontanee.

Ricordo uno dei suoi scritti …. “Facendo passare nella mente il volto di giovani che nella vita hanno subito qualche grossa “sbandata” (l’oziosità patologica, la delinquenza minorile, la droga, ecc.) non ne riscontro tra coloro che hanno praticato il duro tirocinio della montagna”.

Peccato che la “città dei bambini e delle bambine” non possa oggi più utilizzare una così eccezionale Guida. Una Guida davvero, spirituale ma anche terrena, anche una guida alpina.

Socio cofondatore della sezione locale del Club Alpino Italiano, generoso nel concedere una prestigiosa sede sociale, tanto rimpianta, e nell’accompagnare i giovani delle nostre scuole alla scuola di sci feriale, alla baita in Val di Scalve ed in altre innumerevoli frequentazioni di un ambiente scelto forse per far scaturire un intrigante e non semplice interrogativo in tanti di noi …”ma, ciò che vedo è un meraviglioso equilibrio conseguente al naturale caos primordiale o effetto di un disegno voluto da una entità superiore?

La presidenza del C.A.I. gli riconosce nel 1991 il titolo di “Accompagnatore Nazionale di Alpinismo Giovanile” honoris causa, conferito a quella data solo ad altri due insigni personaggi durante l’ultracentenaria storia del sodalizio. E, ancora nel ruolo di guida alpina, non ci ha mai spinto all’esclusiva conquista della cima e della vetta ma alla conquista della vita, della vitalità e della gioia di vivere. Ho personalmente usufruito di una particolare sorte: passo dopo passo, partendo da uno dei suoi campeggi, quella di arrivare alla presidenza generale del Club Alpino Italiano, nel 1998. Sono convinto che il lasciapassare per tale meta sia tutto racchiuso nel “L’ibretto d’istruzioni” che don Giò ha furtivamente inserito nel mio e nello zaino di tanti suoi giovani, Lo scritto di servizio, il perseguire obiettivi di interesse ed utilità generale, l’onestà intellettuale e di azione, la propensione a favorire lo spirito di gruppo. Nessuno può pertanto dire di avere oggi di fronte un vecchio prete, proprio perché oggi è un moderno modello di riferimento, per o suoi giovani di Grantola e … per altri novelli educatori.

Chi gli ha vissuto vicino ha scoperto, in tempi brevi, la sua innata caratura. Come nelle favole di Kipling, dove il grande lupo Akola guidava i suoi lupetti verso le incognite della foresta, anche noi gli abbiamo riconosciuto istintivamente il ruolo di “Lupo Anziano”. Come dimenticare quando lo seguivamo cantando una bella canzone … “la via troppo è scoscesa, la traccia già si perde, solo non si disperde chi segue il “Lupo Anzian” …

Perché dava sicurezza, serenità ed entusiasmo; anche nei momenti più difficili …anche in quelli che non appartenevano alla sfera del tempo libero.

All’inizio di questa testimonianza ho richiamato la sua propensione per attività … apparentemente laiche. Vorrei offrire una conferma.

Pochi anni fa, Monsignor Stecher – Arcivescovo di Innsbruk, ha pubblicato un libro intitolato “Il messaggio delle montagne”. La conclusione recita: “Molte sono le vie che conducono al Signore. Una di queste passa per i monti”.

Il Lupo Anziano lo sapeva da sempre.


Gabriele Bianchi – da: Storie e volti –

ed. Assessorato alla Cultura – Comune di Bovisio Masciagogennaio 2007foto Fabrizio Delmati